Il mantra dell’anno è “esplorare i propri limiti”.
Ce lo ripete continuamente il nostro maestro, spingendoci a sperimentare modi nuovi per fare le stesse cose – soprattutto i movimenti e le posizioni che non ci riescono bene, naturalmente.
Se facciamo le solite cose nel solito modo, il risultato sarà il solito errore: l’evidenza di questa affermazione è incontestabile, eppure nella pratica non è facile liberarsi dall’abitudine della ripetizione.
Spingetevi fino al vostro limite, ci dice Marco: esplorate i dintorni del movimento, quelli che non conoscete e che non frequentate.
Certo è più rassicurante innestare il pilota automatico, eseguire i movimenti della forma seguendo il filo della memoria: adesso c’è l’airone bianco, segue una frusta, poi le nuvole, poi….e arrivati a questo punto ci siamo persi nei nostri pensieri, altro che “presenza qui e ora” . E probabilmente eseguiamo i movimenti alla meno peggio, senza cercarne la precisione e l’esattezza.
Per progredire, invece, bisogna azzardarsi su un terreno che ancora non si conosce: si può scoprire solida roccia ma anche terreno franoso o paludi che inghiottono il nostro supposto sapere – e sono quelle le sere in cui si esce furibondi dalla lezione, con l’impressione di dover ricominciare da capo.
Cercarsi il freddo per il letto, si direbbe dalle nostre parti. Ma chi me lo fa fare di rimettere in discussione tutto, dopo anni di pratica? La mia anca non è abbastanza morbida? Il mio peso non scende correttamente? Ma questi sono i miei limiti, verrebbe voglia di ribattere. E però: se accetto questi limiti, se li ritengo insuperabili, resterò ferma per sempre in questo punto di tiepida, rassegnata mediocrità.
Uscite dalla zona di conforto, ripete Marco, in cui si sta comodi ma non si impara niente.
Un consiglio che vale anche nella vita, non solo a lezione di taichi.