Il taichi è un’arte

Lo sappiamo tutti, ma qualche volta lo dimentichiamo: il taichichuan è un’arte. Marziale, d’accordo, ma sempre arte è. E come le altre arti, necessita di tanto esercizio.

Un pianista, ad esempio: quante ore al giorno si esercita per trovare il tocco giusto sulla tastiera? E chissà quante volte ripete lo stesso brano – per trovare l’esecuzione perfetta, ma anche perché la sua sensibilità matura e cresce la sua comprensione dell’autore.

Noi praticanti di taichichuan, invece, tendiamo a credere che una lezione a settimana sia sufficiente: come se si trattasse solo di imparare il giusto movimento o, al massimo, la sequenza della forma – e di ricordarla correttamente. Così, però, si esercita solo la memoria: e non è questo l’obiettivo del taichichuan.

Seguire il maestro, copiare i suoi movimenti è solo la “fase zero” per un allievo – è come copiare i quadri dei grandi pittori per chi aspira a diventarlo a sua volta. Bisogna impradonirsene, bisogna mangiare pane e taichi, bisogna inghiottire e digerire – anche le delusioni e le apparenti sconfitte, quando il corpo non risponde come vorremmo e i movimenti risultano sgraziati e disarmonici.

Più si pratica e più risulta evidente la necessità intrinseca che quel movimento sia eseguito così e non diversamente; e anche la pratica a due, che è l’applicazione marziale della nostra arte, serve da verifica – come suonare il proprio strumento in armonia con il resto dell’orchestra.

Esercizio, esercizio, esercizio; praticare, praticare, praticare. E’ questo il segreto.